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Come ogni cosa, anche in amore c’è il rovescio della medaglia. C’è l’amore puro ed innocente della gelosia e dei romanticismi, quello che vediamo solo nelle telenovelas perchè nessuno ormai ci crede piu’. E’ c’è l’altra faccia dell’amore, quella dei manganelli e frustini, delle violenze e delle puttane, l’amore fisico ed estremo. A quello si, ci crediamo e lo vediamo. Molti forse lo desiderano anche come lo ha desiderato O, (pseudonimo che probabilmente rimanda alle parole ”oggetto” ”orefizio”) , seducente fotografa che accetta senza imposizioni di sottomettersi ad altri uomini come prova d’amore assoluto nei confronti del suo perverso amante Renè, che a sua volta usa il potere che ha su di lei per assoggettarla sessualmente.
Ambientato nell’epoca aristocratica francese, viene reclusa dal giovine al castello di Roissy, luogo di rituali sadomaso-orgiastrici fatti e subiti insieme ad altre donne adibite ad indossare vesti medievali, tutte schiave sottomesse ad altri uomini. Dopo flagellazioni, stupri e castigazioni hard, Renè concede O a Sir Stephen, barone che ne chiede l’esclusiva appartenenza marchiandola a fuoco come simbolo di eterno dominio.
Trasposizione dall’omonimo romanzo di Dominique Aury (1954) e diretto da Just Jaeckin , con una trama poco approfondita incentrata sulle vicende della protagonista, il regista ha curato piu’ di tutto le immagini porno soft, i corpi nudi e sensuali delle donne-oggetto imperanti di effusioni, mettendo in scena l’amore patriarcale senza banalità e luoghi comuni, in modo diretto e crudo. E senza vestiti, ovviamente.
Un amore totalmente fuori dall’ottica del romanticismo puro di Leopardi, ma volto alla possessione, al sesso sporco e oltraggioso, perdere le proprie volontà col fine di dimenticarsi per poi riscoprire il desiderio e il bisogno di amare nuovamente. Un amore che supera tutti i confini dell’eros, focalizzandosi sulla vera, intima ed istintiva natura dell’uomo, quella animale, quella dello schiavismo sessuale, il tutto condito con raffinatezza senza mai scadere nella volgarità. La protagonista interpretata da Corinne Clery in quegli anni divenne quasi un culto grazie al suo sguardo innocente in contrasto con un corpo estremamente erotico e sensuale. Non sempre la voce fuori campo usata nel film a mo’ di narrazione romanzata risulta piacevole, e il rapporto tempo-trama a volte lascia a desiderare. Compensano le scenografie lugubre dei sotterranei del castello, gli aggeggi usati nelle pratiche BDSM e gli arredi di rimando pop art anni ’70, che ci fanno entrare in empatia con i personaggi.
In questa esplorazione della sessualità non poteva mancare l’attrazione saffica, il film si chiude infatti con il ritorno di O al castello di Roissy ma stavolta per portarci Jacqueline, modella di cui si infatua e di cui spera di diventarne la padrona. Una lunga catena di soggiogazioni e depravazioni, dunque, tramandate da dominatore a dominante. Un’opera dedita all’esplorazione della sessualità, ma attenzione, vietata la visione a chi è ancora legato a tabù e moralismi.